Freud dava ai genitori due notizie, una cattiva e una buona. Quella cattiva: il mestiere del genitore è un mestiere impossibile. Quella buona: i migliori sono quelli che sono consapevoli di questa impossibilità. Come dire che l'insufficienza, la vulnerabilità, la fragilità, il senso dei propri limiti, non sono ingredienti nocivi all'esercizio della genitorialità. Tutt'altro. E' da queste due notizie che trae linfa Gli sdraiati, il nuovo, imperdibile, libro di Michele Serra che racconta la sua testimonianza singolare di padre. Se nella nostra cultura il tema della paternità è diventato negli ultimi anni un tema egemonico, è perché intercetta una angoscia diffusa non solo nelle famiglie, ma nelle pieghe più profonde del nostro tessuto sociale: cosa resta del padre nell'epoca della sua evaporazione autoritaria e disciplinare? Può esistere ancora una autorità simbolica degna di rispetto? Può la parola di un padre avere ancora un senso se non può più essere la parola che chiude tutti i discorsi, che può definire dall'alto il senso Assoluto del bene e del male, della vita e della morte?

Il padre di cui ci parla Serra attraverso il suo caso personale non nasconde affatto la paradossale "fragilità materna", la schizofrenica incarnazione dell'autorità che oscilla paurosamente tra la spinta a sgridare e quella a soccorrere, non cancella le contraddizioni del suo parlamento interno, abitato, come quello di tutti - come ricordava giustamente Gilles Deleuze ai rivoluzionari degli anni Settanta - da reazionari che invocano il ristabilimento repressivo dell'ordine. Questo nuovo padre non ha più a che fare con truppe di figli intimoriti dalla sua potenza titanica, né con figli ribelli che contestano la sua azione repressiva. Non si era mai vista prima una cosa del genere, commenta un amico di Serra preparandosi alla vendemmia in una bella mattina d'autunno mentre osserva i ragazzi che preferiscono trascorrere la mattina nei loro letti anziché unirsi ai "vecchi". "Non si era mai visto prima che i vecchi lavorano mentre i giovani dormono". Una mutazione antropologica, come direbbe Pasolini, sembra aver investito i nostri figli. Michele Serra la sintetizza come passaggio dalla posizione eretta a quella orizzontale: eccoli, gli sdraiati, avvolti nelle loro felpe e circondati dai loro oggetti tecnologici come fossero prolungamenti post-umani del corpo e del pensiero. Eccoli i figli di oggi, quelli che preferiscono la televisione allo spettacolo della natura, che non amano le bandiere dell'Ideale, ma che vivono anarchicamente nel loro godimento autistico, eccoli in un mondo dove "tutto rimane acceso, niente spento, tutto aperto, niente chiuso, tutto iniziato, niente concluso". Eccoli i consumisti perfetti, "il sogno di ogni gerarca o funzionario della presente dittatura, che per tenere in piedi le sue mura deliranti ha bisogno che ognuno bruci più di quanto lo scalda, mangi più di quanto lo nutre, l'illumini più di quanto può vedere, fumi più di quanto può fumare, compri più di quanto lo soddisfa".

Non si era mai visto niente di simile a questa generazione. Sia detto senza alcun moralismo, precisa Serra. Non è né bene, né male; è una mutazione, "è l'evoluzione della specie", come commenta suo figlio.