Io vengo qui quando
voglio e come voglio e lei mi deve ascoltare perché è pagata per questo. Tanto
voi non fate niente, in classe giocate!". Sono queste le parole con cui un
genitore ha recentemente aggredito la professoressa di italiano del figlio. Pare che l'uomo fosse furioso perché
l'insegnante, a suo dire, avrebbe umiliato il ragazzo in classe, spiegandogli
davanti a tutti che il compito fatto in casa non era farina del suo sacco. Pare
che abbia ripetuto a più riprese che non si possono "perseguitare"
gli studenti e che, chi lo fa, mostra di non capire nulla. Ma se un
professore non può nemmeno più valutare i compiti dei propri alunni, che ruolo
gli resta? Come si fa a insegnare qualcosa quando la propria autorità viene
sistematicamente rimessa in discussione?
Certo, i tempi sono cambiati e non avrebbe alcun senso rimpiangere l'epoca in cui i genitori non si schieravano mai dalla parte dei figli. Nel passato, erano sempre e comunque gli adulti ad avere ragione. Anche quando i bambini venivano effettivamente umiliati o ingiustamente puniti. Anche quando gli insegnanti abusavano della propria autorità e non permettevano alcun dissenso in aula. Era l'epoca dell'autoritarismo, un'epoca in cui
Certo, i tempi sono cambiati e non avrebbe alcun senso rimpiangere l'epoca in cui i genitori non si schieravano mai dalla parte dei figli. Nel passato, erano sempre e comunque gli adulti ad avere ragione. Anche quando i bambini venivano effettivamente umiliati o ingiustamente puniti. Anche quando gli insegnanti abusavano della propria autorità e non permettevano alcun dissenso in aula. Era l'epoca dell'autoritarismo, un'epoca in cui
si insegnava la "sacralità" del ruolo degli insegnanti senza
rendersi conto che questo modo di fare impediva poi ai ragazzi di costruirsi
uno spirito critico, di interrogarsi sulla validità degli insegnamenti
ricevuti, e di rimettere talvolta in discussione la parola degli adulti.
Ma una cosa è rispettare i ragazzi e aiutarli a crescere affinché diventino autonomi e capaci di difendere le proprie idee, altra cosa è negare il ruolo degli educatori, impedendo così ai giovani di capire che esistono delle competenze da rispettare e delle regole da seguire. Stare dalla parte dei ragazzi non vuol dire far loro credere che la ragione sia sempre dalla loro parte. Educarli significa anche insegnare loro il rispetto e l'umiltà. Se gli adulti possono sbagliare e, quando sbagliano, devono avere il coraggio di riconoscerlo, gli studenti devono anche poter capire che non tutto è lecito, che esistono delle regole, e che si va a scuola anche per imparare. Un giorno all'università stavo spiegando ai miei studenti la distinzione che esiste tra le proposizioni descrittive e le proposizioni prescrittive, il primo passo per poi insegnare la semantica del linguaggio normativo e l'ontologia delle norme. Questioni certo complesse, ma fondamentali quando ci si vuol poi occupare di filosofia morale o di filosofia del diritto. Ma ancora prima di avere la possibilità di andare avanti, un ragazzo aveva alzato la mano: "Professoressa non sono d'accordo". "Non sei d'accordo su cosa?", gli avevo risposto irritata. "Guarda che qui non c'è da essere o meno d'accordo. Per il momento c'è solo da ascoltare, capire e imparare". Un'irritazione che non era piaciuta allo studente. Ma che era servita a tanti altri ragazzi per capire che le opinioni personali, talvolta, non hanno niente a che vedere con la cultura.
A scuola, come nella vita, ci sono cose su cui non si discute. E se un'insegnante critica uno studente perché i compiti fatti a casa non sono farina del suo sacco, non merita certo di essere poi aggredita dai genitori. Forse sarebbe opportuno che alcuni genitori lo capissero e la smettessero di dare sempre ragione ai figli. Facendo così, infatti, non solo non li aiutano, ma soprattutto li danneggiano. Crescere autonomi e indipendenti significa capire che, talvolta, è anche il momento di tacere.
Ma una cosa è rispettare i ragazzi e aiutarli a crescere affinché diventino autonomi e capaci di difendere le proprie idee, altra cosa è negare il ruolo degli educatori, impedendo così ai giovani di capire che esistono delle competenze da rispettare e delle regole da seguire. Stare dalla parte dei ragazzi non vuol dire far loro credere che la ragione sia sempre dalla loro parte. Educarli significa anche insegnare loro il rispetto e l'umiltà. Se gli adulti possono sbagliare e, quando sbagliano, devono avere il coraggio di riconoscerlo, gli studenti devono anche poter capire che non tutto è lecito, che esistono delle regole, e che si va a scuola anche per imparare. Un giorno all'università stavo spiegando ai miei studenti la distinzione che esiste tra le proposizioni descrittive e le proposizioni prescrittive, il primo passo per poi insegnare la semantica del linguaggio normativo e l'ontologia delle norme. Questioni certo complesse, ma fondamentali quando ci si vuol poi occupare di filosofia morale o di filosofia del diritto. Ma ancora prima di avere la possibilità di andare avanti, un ragazzo aveva alzato la mano: "Professoressa non sono d'accordo". "Non sei d'accordo su cosa?", gli avevo risposto irritata. "Guarda che qui non c'è da essere o meno d'accordo. Per il momento c'è solo da ascoltare, capire e imparare". Un'irritazione che non era piaciuta allo studente. Ma che era servita a tanti altri ragazzi per capire che le opinioni personali, talvolta, non hanno niente a che vedere con la cultura.
A scuola, come nella vita, ci sono cose su cui non si discute. E se un'insegnante critica uno studente perché i compiti fatti a casa non sono farina del suo sacco, non merita certo di essere poi aggredita dai genitori. Forse sarebbe opportuno che alcuni genitori lo capissero e la smettessero di dare sempre ragione ai figli. Facendo così, infatti, non solo non li aiutano, ma soprattutto li danneggiano. Crescere autonomi e indipendenti significa capire che, talvolta, è anche il momento di tacere.
di MICHELA MARZANO