La dispersione scolastica
costa 70 miliardi
Intervita
Onlus presenta in Senato il progetto Frequenza200 e lancia la ricerca nazionale
sui ragazzi che lasciano la scuola
Ogni
anno 2 ragazzi su 10 lasciano la scuola (Fotolia)
Luca, 16
anni, ha concluso gli esami di terza media ringraziando i professori per l’aiuto
e stringendo loro la mano. Due anni fa era stato sospeso per aver
insultato l’insegnante. Anche Giulio, 15 anni, ha dato (e passato) l’esame.
Qualche bocciatura (tre), il disinteresse per le materie scolastiche,
«inutili»: Giulio ha da lavorare nel negozio di parrucchiere dei genitori. Per
loro il lavoro è più importante della scuola. Lo scorso anno, però, Giulio ha
lavorato: anche su se stesso, sulle sue motivazioni, sull’autostima. Due anni
in uno non sono facili. C’è riuscito. Ora frequenta il primo anno alle
professionali. Enzo, invece, ripete la prima media: bocciato due volte alle
elementari, non frequenta e nessuno se ne accorge. La famiglia ha accettato il
bollino di «stupido» degli insegnati. A lui va bene considerarsi un fallito. A
13 anni legge a stento, non scrive. E quelle poche volte che va in classe, fa
il bullo. Non lo sopportano gli insegnanti, non lo reggono i coetanei.
FREQUENZA - A Palermo, Napoli e Milano,
l’80 per cento dei ragazzi che hanno partecipato a Frequenza200 hanno concluso
l’anno brillantemente e con soddisfazione. Il progetto, organizzato da
Intervita Onlus che dal 1999 lavora in diversi Paesi del mondo per promuovere
l’accesso all’educazione, ha coinvolto circa 2000 studenti tra i 10 e i 16
anni, altrettante famiglie, 800 insegnanti, 160 operatori informali, dagli
educatori ai personaggi della strada: il barista, l’edicolante, il titolare del
negozio di alimentari. L'idea è che la scuola sia un valore intergenerazionale,
patrimonio dei quartieri dove è inserita e dove conserva specifiche ritualità.
La scuola che si allarga, con il teatro e la parola che diventano terapeutici,
i progetti condivisi che non si basano solo sul rendimento ma sulle competenze,
lo sport e la creatività per individuare passioni e dalle passioni accompagnare
i ragazzi a trovare fiducia in sé e negli adulti. E quindi la scuola come luogo
della crescita. È il racconto di Lenti di contatto, primo quaderno di
ricerca su dispersione scolastica, pedagogia, società e inclusione, che
viene presentato stamattina in Senato insieme a Rete Frequenza200, il progetto
di Intervita Onlus che adesso vuole diventare un network allargato a tutte le
associazioni che lavorano sulla dispersione scolastica per mettere a confronto
e condividere i metodi e gli interventi più incisivi.
«Lenti a contatto»,
IL QUADERNO - Nel dossier si confrontano
pedagogisti, antropologi, sociologi, urbanisti, storici. Il quaderno è dunque
uno strumento che raccoglie interventi teorici e le esperienze di formazione
degli operatori che lavorano direttamente nei quartieri. «La scuola in cui mi riconosco è
in prima linea, realizza l’accoglienza e il contenimento psicologico, promuove
e non esclude, accetta e non discrimina», spiega Barbara Argo, docente
palermitana. «I ragazzi che la scuola “disperde” diventano il bacino dal quale
attinge a piene mani la criminalità organizzata e questo, noi che operiamo nel
sociale, lo sappiamo bene. È necessario coniugare l’intervento di
contrasto alla dispersione scolastica a quello più ampio che rimanda alla
tutela e al rispetto di condizioni dignitose e accettabili di vita, dove il
diritto all’istruzione coincide, inevitabilmente, con il riconoscimento della
propria identità e la formazione della propria coscienza. Si tratta di mettere
in campo interventi strutturali talmente forti da farli radicare nel territorio
fino a divenire parti integranti di esso».
COMUNITA’ - Si tratta
di costruire quella che Marco Rossi Doria, il maestro di strada oggi
sottosegretario all'Istruzione, definisce una «comunità educante». «A oltre
trent’anni dal monito di Don Milani il principale problema della scuola
Italiana sono i ragazzi che perde», dice Rossi Doria che auspica la sinergia
tra scuole, territorio, terzo settore e privato sociale. «In questi anni la
scuola affronta grandi cambiamenti sociali che hanno aumentato in numero e
complessità i compiti che è chiamata a svolgere: la maggiore fragilità e
frammentazione delle famiglie richiede che la scuola condivida questi compiti
con altri attori: sostenendo la genitorialità e interagendo con tutti coloro
che nei quartieri rappresentano un presidio sociale e intercettano le persone
in crescita». In questo senso Frequenza200, che prende il nome dal numero di
giorni di lezione obbligatori che la scuola deve garantire per legge in Italia,
si articola in attività di laboratorio, coinvolgimento e formazione degli
insegnanti e attività di counseling e rafforzamento delle competenze
genitoriali alle famiglie. Oltre a un’attenta e rigorosa inchiesta sociale.
«Non è un caso che si torni a parlare di Olivetti e del Movimento di comunità»,
spiega Luca Lambertini, sociologo e formatore bolognese. «È come se
attraversassimo una fase di passaggio, simile a quella di allora. Operatori e
assistenti sociali si trovano di nuovo ad agire in un sistema di servizi
sclerotizzato e burocratico, privi di strumenti, di immaginazione, di un
bagaglio operativo adeguato ai tempi e necessario a un agire “comunitario”.
Il tratto che differenzia la fase
critica contemporanea da quella che l’Italia sperimentò alla fine della guerra
è che il fermento culturale e la tensione di allora sono per ora soffocati dal
senso di impotenza. Inventarsi un nuovo modo di fare intervento e ricerca
sociale è necessario come allora». Realizzando quella che oggi si identifica
con l’educazione alla cittadinanza attiva e mettendo in campo tutti i
protagonisti della formazione.
PROGETTO PILOTA - Intervita
lo ha sperimentato, con un progetto pilota in tre regioni (Lombardia, Campania,
Sicilia) nell’anno scolastico 2012-2013, con una metodologia di lavoro che
tiene insieme ricerca (cioè la teoria, la riflessione di chi studia i percorsi
pedagogici e le complessità sociali) e azione (quella degli insegnanti e degli
educatori). E creando un sistema tra cooperative che operano in diverse città,
organizzazioni di privato sociale e istituzioni pubbliche. E che ora si
propone, con la Rete di Frequenza200, come piattaforma online che coinvolge gli
insegnanti, i dirigenti scolastici, i giovani e le loro famiglie, e gli
operatori sociali per mettere a sistema esperienze e attività educative e
individuare i modello di intervento replicabili. «Con Frequenza200 promuoviamo un modello di dialogo tra le
istituzioni le famiglie e gli enti locali per confrontarsi sulle buone pratiche
e favorire un’attenzione maggiore sul tema dell’educazione», dice Marco
Chiesara. «Attraverso un programma triennale ci siamo posti l’obiettivo di
ridurre l’abbandono della scuola riportando sui banchi 4.000 studenti a
rischio». Un passo importante verso il raggiungimento degli obiettivi della
strategia di Europa 2020 nel campo dell’istruzione che prevedono la riduzione
del tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10%.
EUROPA
2020 – Lo scenario è desolante,
l’Italia con il 17,6% di ragazzi che abbandonano gli studi, è in fondo alla
classifica europea la cui media è pari al 14,1%. Il confronto è con la
Germania, dove la quota è sensibilmente più bassa (10,5%), la Francia (11,6%) e
il Regno Unito (13,5%). Un divario che aumenta se guardiamo al Sud, dove la
media è del 22,3%, mentre si riduce nel Centro-Nord dove si attesta al 16,2%.
Anche se, va detto, gli sforzi compiuti in questi anni hanno dato risultati se
confrontati con il 2000, quando gli early school leavers risultavano il
25,3%.
IMPATTO ECONOMICO - Dispersi o
a rischio dispersione, drop out, early school leavers. Qualsiasi
termine si usi per definire i ragazzi che lasciano la scuola precocemente,
resta un marchio che contiene storie di disaggregazione, frustrazione, disagio
non solo economico. E segna un futuro che mette a rischio di disoccupazione,
esclusione sociale, quando violenza
e microcriminalità. Difficoltà a inserirsi nella routine scolastica,
crisi che non fa sognare e preferire il guadagno immediato spinge ragazzi anche
molto piccoli a rifiutare la scuola. Le motivazioni saranno analizzate in
Senato, dove Intervita presenta la Ricerca nazionale sulla dispersione
scolastica con l’obiettivo di quantificare l’impatto economico e sociale.
identificare la tipologia dei ragazzi che abbandonano i banchi precocemente e
valutare i tipi di intervento e la loro efficacia. I dati saranno pronti per il
2014. Vi collaborano la Fondazione Agnelli, l’associazione Bruno Trentin di
Cgil, con la direzione scientifica di Daniele Crecchi, docente di Economia
politica all’Università di Milano.
INVESTIMENTI - Quanto
costa l’abbandono scolastico in termini di pil? E come si può quantificare il
valore degli investimenti messi in campo dalle istituzioni scolastiche, gli
enti locali, quelli di formazione e il terzo settore? In preparazione della
ricerca, Daniele Crecchi ha tracciato un quadro, basato su dati Bankitalia e Isfol,
di quanti siano i «drop out», cioè gli italiani che «cadono fuori» dalla
scuola italiana. Su 100
bambini che ogni anno iniziano gli studi ce n’è uno che non riuscirà neppure a
finire la scuola primaria, cinque che si fermeranno alla licenza elementare, 32
che lasceranno dopo le medie. Oltre a 17 che tentano le superiori ma falliscono
e altrettanti che non riescono ad arrivare alla laurea.
IL COSTO DELL’ABBANDONO - Un primo
«conto» rileva che i giovani in fuga dalla scuola costano all’Italia 70 miliardi
l’anno. «I ragazzi
abbandonano gli studi troppo presto», continua l’economista, «accettano lavori
con retribuzioni più basse e così se ne va in fumo un ipotetico 4% di Pil».
Certo è una quantificazione «per assurdo», sottolinea il professor Crecchi «fatta
ipotizzando che la politica abbia una bacchetta magica e sia in grado di
scolarizzare tutte le persone che hanno lasciato la scuola» e che «ci sia un
ipotetico mercato del lavoro in grado di assorbirle tutte». Il calcolo si
articola su queste basi: in Italia ci sono 12,6 milioni di persone che hanno
lasciato gli studi prima del diploma, che hanno un livello di occupazione più
basso del 14% rispetto a chi ha finito le superiori e che, se hanno un impiego,
guadagnano circa 4 mila euro in meno dei colleghi più scolarizzati. Se tutte
queste persone venissero assunte con lo stipendio medio di una persona che ha
almeno un titolo di studio superiore, genererebbero un «giro d’affari» da 70
miliardi. «Una cifra - sottolinea Checchi - assolutamente ipotetica, ma che dà
l’idea del potenziale economico che il tema ha nel nostro Paese».