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Studi umanistici in crisi
nelle università Usa

Studi umanistici in crisi
nelle università Usa
Con la crisi e l’era digitale, lettere
e lingue sono divorate da business 
e informatica
francesco semprini
C’è chi parla già di crisi, e in ogni caso è senza dubbio un fenomeno preoccupante quello che riguarda il declino degli studi umanistici degli atenei americani. Defezioni e diserzioni sono sempre più frequenti nelle facoltà di lettere, lingue, storia e psicologia dove il calo del numero di iscritti è irreversibile da alcuni anni a questa parte. All’Università di Stanford, ad esempio, una delle eccellenze della formazione superiore, sebbene il 45% dei docenti “undergraduate” - il ciclo dei primi quattro anni di studio - sia impiegato in dipartimenti di studi umanistici, la percentuale di studenti sfiora appena il 15 per cento. La fama dell’ateneo nella preparazione delle scienze informatiche e nella tecnologia è uno dei fattori in cui individuare l’origine del declino umanistico in termini di studi, ma non solo. La prolungata crisi finanziaria ha infatti trasformato sempre di più le università in fucine di formazione per le professioni in senso stretto e di questo le autorità accademiche sono preoccupate. Ovvero ci si iscrive laddove l’offerta di lavoro è maggiore e soprattutto ben remunerata.
I timori, infatti, non si fermano a Stanford: a settembre, ad esempio, la Edinboro University della Pennsylvania, ha annunciato la chiusura dei suoi programmi di tedesco (quella zona del Midwest ha una forte componente della popolazione di origine germanica), filosofia, lingue e letterature straniere. Si tratta di corsi che un tempo erano considerati d’elite e attiravano un grande numero di studenti. E ancora, ad Harvard c’è stato un calo del 20% nei piani di studio umanistici, mentre a Princeton sono stati avviati programmi per diplomandi con particolare interesse per gli studi letterari. Il punto è che il sempre maggior peso dell’economia nella vita politica di un Paese, le allettanti prospettive offerte da Wall Street, l’interesse montante per materie come l’ecologia e le scienze genetiche, e il dilagare delle tecnolgie informatiche e digitali indeboliscono sempre di più l’interesse per le materie umanistiche. Alcuni atenei hanno deciso di rafforzare i programmi del primo anno, ovvero quello in cui gli studenti di un po’ tutte le facoltà dalle lingue all’ingegneria si concentrano su una preparazione di base comune fatta soprattutto di studi umanistici, dalla storia all’arte, necessario per creare una base sulla quale sviluppare un percorso formativo che vada verso qualsivoglia direzione.
Parliamo in particolare di quella preparazione di base che, ad esempio in Italia, si acquisisce nelle scuole superiori i cui programmi sono più completi e di spessore rispetto alle americane. e la cui mancanza negli Usa viene supplita con il primo anno di università incentrato su una preparazione comune di cultura generale. Ed è proprio questo l’elemento su cui bisogna puntare secondo Leon Botstein, presidente del Bard College, secondo cui molti non capiscono che gli studi umanitari permettono una formazione e lo sviluppo di capacità e abilità fondamentali per ogni tipo di attività. Specie alla luce del fatto che di solito negli States gli studi si articolano in un “bachelor degree”, ovvero i primi quattro anni, e nel master successivo che consente di acquisire una preparazione molto specifica e di spessore. In sostanza il messaggio del mondo accademico umanistico è che per chi punta a un Mba (master in gestione degli affari), può essere utile avere un titolo primario in psicologia o storia, come molti esempi illustri del passato dimostrano. “Abbiamo fallito - avverte Botstein - a far capire che la preparazione umanistica è essenziale agli ingegneri tanto quanto agli scienziati, agli uomini d’affari tanto quanto ai professori di filosofia” E da qui occorre ripartire per fermare il declino di studi che rimangono ancora nobili.