«Senti un po’, ma tu che fai? Nun te movi oggi?» Come si apprende dalle conversazioni intercettate sul cellulare di una delle minorenni che si prostituiva a Roma, nel quartiere dei Parioli, pare che fosse proprio la madre a spingere la figlia a non fermarsi. Nemmeno quando la ragazzina ammette di non farcela più. Perché comincia a essere stanca. Perché non vuole andare a scuola senza aver fatto i compiti. Perché dice di non sentirsi bene. E allora la madre insiste. La minaccia anche. «Devi fare una scelta. Qui una soluzione bisogna trovarla. Rifletti bene su questo aspetto della scuola… se no… ti ritiro…». Ma quale soluzione? Per ottenere cosa? Come è anche solo possibile immaginare che una madre si preoccupi del tempo che la figlia potrebbe sottrarre ai clienti per fare i compiti, e quindi dei soldi che non porterebbe a casa?
In questi ultimi giorni, di commenti sulle baby-prostitute ce ne sono stati veramente tanti. Si è parlato di assenza di valori e di gioventù bruciata. Di vendita del corpo e di incapacità di amare. Di spese folli e di soldi facili. Fino a fare di queste ragazzine il simbolo stesso del cinismo contemporaneo. Confrontate a un mondo di immagini patinate e di tele-spazzatura - in cui attraverso la bellezza si otterrebbe facilmente qualunque cosa - si è sentito dire che le adolescenti sarebbero ormai incapaci di concepire la vita in modo diverso: perché sacrificarsi e lavorare sodo quando basterebbero poche ore
per guadagnare tanto e avere i soldi per comprarsi tutto quello che si desidera? Ignare delle lotte portate avanti dalle femministe negli anni Sessanta e Settanta per liberare la donna dal fardello della dominazione maschile, le giovani di oggi - hanno ripetuto in tanti - sarebbero di nuovo vittime di una forma subdola di «servitù volontaria»: se il corpo è mio, perché non posso utilizzarlo come mi pare e quindi venderlo? Ma forse, come accade spesso, la realtà è più complessa di quanto si pensi. E sarebbe un grave errore banalizzare il fenomeno delle baby-prostitute dando la colpa alla superficialità dei giovani di oggi. Come si fa anche solo a capire di avere un valore - e quando parlo di valore, intendo quello intrinseco, quello che ogni persona ha in quanto persona, quello che fonda la dignità umana - quando sono gli stessi genitori che riducono le proprie figlie a merce di scambio? Come spiega bene il filosofo tedesco A. Honneth, quando da bambini non si riceve il riconoscimento - che è la forma suprema dell’amore e che permette a ognuno di sentirsi importante per quello che è, indipendentemente da quello che fa - non è possibile né acquisire fiducia in se stessi, né immaginare che il proprio valore sia intrinseco e non strumentale. Ecco perché poi si rischia di passare la propria vita a fare di tutto per guadagnarsi quel valore. Anche quando si è i primi a calpestarlo. Magari proprio con la benedizione delle proprie madri.
per guadagnare tanto e avere i soldi per comprarsi tutto quello che si desidera? Ignare delle lotte portate avanti dalle femministe negli anni Sessanta e Settanta per liberare la donna dal fardello della dominazione maschile, le giovani di oggi - hanno ripetuto in tanti - sarebbero di nuovo vittime di una forma subdola di «servitù volontaria»: se il corpo è mio, perché non posso utilizzarlo come mi pare e quindi venderlo? Ma forse, come accade spesso, la realtà è più complessa di quanto si pensi. E sarebbe un grave errore banalizzare il fenomeno delle baby-prostitute dando la colpa alla superficialità dei giovani di oggi. Come si fa anche solo a capire di avere un valore - e quando parlo di valore, intendo quello intrinseco, quello che ogni persona ha in quanto persona, quello che fonda la dignità umana - quando sono gli stessi genitori che riducono le proprie figlie a merce di scambio? Come spiega bene il filosofo tedesco A. Honneth, quando da bambini non si riceve il riconoscimento - che è la forma suprema dell’amore e che permette a ognuno di sentirsi importante per quello che è, indipendentemente da quello che fa - non è possibile né acquisire fiducia in se stessi, né immaginare che il proprio valore sia intrinseco e non strumentale. Ecco perché poi si rischia di passare la propria vita a fare di tutto per guadagnarsi quel valore. Anche quando si è i primi a calpestarlo. Magari proprio con la benedizione delle proprie madri.