È dunque colpa dei nostri genitori che non ci hanno regalato il Commodore 64 se il codice Html ci pare arabo? O siamo noi stesse ad escluderci dalla partita?
È dunque colpa dei nostri genitori che non ci hanno regalato il Commodore
64 se il codice Html ci pare arabo? O siamo noi stesse ad escluderci dalla partita?
A leggere i dati, è difficile trovare una risposta. Per Christianne Corbett,
co-autrice del rapporto Why So Few? Women in Science, Technology, Engineering
and Math , gli stereotipi di genere si formano a 4 anni. Le bambine imparano che materie
come l’ingegneria e la tecnologia sono prettamente maschili, mentre le femmine
sono più portate, per esempio, all’insegnamento nelle scuole. Secondo il
Dipartimento Usa per la Pubblica Istruzione, molto dipende dall’autopercezione
delle ragazze rispetto alle loro abilità matematiche e scientifiche. Risultato,
negli Usa solo il 2 per cento delle donne si diploma in informatica, ma se si
considera il dato nel suo insieme le studentesse di corsi scientifici sono il
57,1 per cento. In Europa la percentuale di donne assunte nel settore è una su cento mentre
il tasso di diplomate è al 20 per cento. E in Italia? La percentuale di
studentesse è tra le più alte al mondo: ben il 50,3 per cento rispetto a una
media Ue del 37,5. C’è poco da gioire, tuttavia. A fronte di grandi eccellenze,
molte laureate finiscono per fare altro. Regola che vale anche per gli
Usa. Se infatti le donne nella Silicon Valley ci sono, non sono tra quelle che
inventano e creano. Marissa Mayer e Sheryl Sandberg per lo più amministrano,
scrivono libri, si mettono in posa per Vogue e fanno pr. Ma non hanno inventato
Facebook, algoritmi e piattaforme. E se si va a scorrere la lista del Time dei
40 personaggi più influenti a livello tecnologico si scopre che le donne sono
il 2,75% del totale.
Una domanda rimbalza da San Francisco a Washington. La Silicon Valley è un
club per soli uomini? Quesiti che da noi vengono liquidati come chiacchiere da
femministe. Ma negli Usa
il dibattito sulla gender equality nel Tech si è riacceso, complice un vivace
scambio tra la giornalista del New York Times Clair Caine Miller e il Ceo di
Twitter Dick Costolo. All’indomani dell’avvio delle procedure per lo
sbarco a Wall Street di Twitter, il quotidiano mette il dito nella piaga. «Il
board di Twitter? Tutti uomini (bianchi). Gli investitori? Idem. E stesso
discorso per gli ad. Con l’eccezione di Vijaya Gadde, unica donna in consiglio
di amministrazione», ha scritto Miller. «È la mafia di Twitter», ha rincarato
la dose Vivek Wadhwa, ricercatore allo Stanford Rock Center for Corporate
Governance. Costolo, d’altro canto, non si è scomposto. Ha alzato il
sopracciglio e ha risposto: «Non voglio gestire la questione come se stessi
solo spuntando una casella». Come dire: «Se non ci sono donne adatte, non è un
mio problema». Una provocazione cui Miller ha replicato per le rime,
pubblicando un elenco di 25 donne attrezzate per stare nel board di Twitter,
tra cui Indra Nooyi di Pepsi, Renée James di Intel e perfino la sceneggiatrice
Shonda Rhimes.
La maggior parte delle americane,
a differenza delle europee, ha capito da tempo che la questione riguarda tutti.
Il focus del dibattito non sono le quote rosa o i consigli d’amministrazione.
Si parla di meritocrazia. Le donne, secondo il Pew Research Center, usano i
social network esattamente quanto gli uomini, se non di più. Eppure, per
Catalyst, sono solo il 5,7 per cento degli impiegati nel settore. Poche,
pochissime, lavorano come programmatrici. Celebri divennero le foto pubblicate
dall’Atlantic , scattate alla Worldwide Developers Conference, con il bagno degli uomini preso
d’assalto mentre davanti alla toilette delle signore non c’era nessuno.
Stereotipi di genere? Che il tech fosse un settore per nerd, brufolosi e
un po’ dissociati non è un segreto. Già nel lontano 2006 Nancy Hafkin e Sophia
Huyer scrissero Cinderella or Cyberella? e Randi Zuckerberg, sorella di Mark,
nel 2010 confessò: «A me regalavano le bambole, a lui i videogame».
Ci vuole qualcuna come Ada Lovelace, prima programmatrice della storia. Ce
ne vogliono cento, duecento per dimostrare a tutti quelli che dicono che le
donne non sono portate che hanno torto. Perché non c’è peggior cosa di dover lavorare in un
ambiente che ti respinge. Ma se il potere adesso passa anche dalla Silicon
Valley, è ora che le donne vadano a prendersi il posto che si meritano. Alla
faccia della fila di nerd davanti al bagno.