Forse ci avete fatto caso anche voi: sempre più i ragazzi – e non solo loro – si spediscono «note audio» attraverso la chat di Facebook, e soprattutto via Whatsapp. Sono seduto in una sala d’aspetto di una stazione (una delle poche ancora con panchine) e una ragazza sta ascoltando il messaggio di un’amica. Il suono è abbastanza alto perché senta cosa le dice. Si trova all’estero e le racconta cosa succede nella nuova scuola e nel giro degli amici. Ogni tanto l’audio del messaggio viene coperto dalle risate della ragazza che mi è a fianco, e a questo punto non capisco bene cosa le dice l’amica.
Aveva ragione Padre Ong quando negli Anni Ottanta pubblicava il suo «Oralità e scrittura» (il Mulino); in quel decennio si stava assistendo al ritorno dell’oralità grazie alle nuove tecnologie. Solo nell’età elettronica ci si è resi conto delle differenze che esistono tra oralità e scrittura; la radio, il telefono e la televisione stavano decretando il ritorno del parlato rispetto allo scritto. Il gesuita, amico e collega di McLuhan, aggiungeva che l’esistenza di questi nuovi media non era disgiunta da quella della scrittura e della stampa. Poi era arrivato il cellulare – il telefonino – e tra le giovani generazioni l’oralità aveva scalzato la scrittura: fine delle lettere. L’avvento dell’email ha riportato, per quasi un decennio, al centro della comunicazione la scrittura. Prima erano email lunghissime, poi sempre più brevi, sino a decretare il trionfo dell’aforisma. Adesso la scrittura è concentrata in Twitter e nelle comunicazioni aziendali. Tutti, in quel periodo, scrivevano, sempre. Soprattutto in Facebook, che tuttavia era nata, e continua a sussistere (sebbene ora in calo) soprattutto quale album d’immagini: comunicazione scritto-visivo. La parola scritta come commento, didascalia, informazione.
Ora l’arrivo dei messaggi audio, tramite Whatsapp, potrebbe cambiare ancora il rapporto tra oralità e scrittura, e dare ragione allo studioso americano che ispirò Galassia Gutenberg. La voce ascoltata sullo smartphone – dove si è trasferita sia la scrittura sia l’oralità – ha qualcosa di più caldo e di più empatico che non la scrittura, nonostante l’uso delle «faccine» (disponibili in Whatsapp). Ma come ci insegna Walter J. Ong, si tratta pur sempre di un movimento pendolare tra scritto e parlato. Nell’ambito della cultura e della comunicazione nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto viene e va, a seconda delle necessità e delle esigenze.
Aveva ragione Padre Ong quando negli Anni Ottanta pubblicava il suo «Oralità e scrittura» (il Mulino); in quel decennio si stava assistendo al ritorno dell’oralità grazie alle nuove tecnologie. Solo nell’età elettronica ci si è resi conto delle differenze che esistono tra oralità e scrittura; la radio, il telefono e la televisione stavano decretando il ritorno del parlato rispetto allo scritto. Il gesuita, amico e collega di McLuhan, aggiungeva che l’esistenza di questi nuovi media non era disgiunta da quella della scrittura e della stampa. Poi era arrivato il cellulare – il telefonino – e tra le giovani generazioni l’oralità aveva scalzato la scrittura: fine delle lettere. L’avvento dell’email ha riportato, per quasi un decennio, al centro della comunicazione la scrittura. Prima erano email lunghissime, poi sempre più brevi, sino a decretare il trionfo dell’aforisma. Adesso la scrittura è concentrata in Twitter e nelle comunicazioni aziendali. Tutti, in quel periodo, scrivevano, sempre. Soprattutto in Facebook, che tuttavia era nata, e continua a sussistere (sebbene ora in calo) soprattutto quale album d’immagini: comunicazione scritto-visivo. La parola scritta come commento, didascalia, informazione.
Ora l’arrivo dei messaggi audio, tramite Whatsapp, potrebbe cambiare ancora il rapporto tra oralità e scrittura, e dare ragione allo studioso americano che ispirò Galassia Gutenberg. La voce ascoltata sullo smartphone – dove si è trasferita sia la scrittura sia l’oralità – ha qualcosa di più caldo e di più empatico che non la scrittura, nonostante l’uso delle «faccine» (disponibili in Whatsapp). Ma come ci insegna Walter J. Ong, si tratta pur sempre di un movimento pendolare tra scritto e parlato. Nell’ambito della cultura e della comunicazione nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto viene e va, a seconda delle necessità e delle esigenze.
marco belpoliti